Amoris laetitia capitolo III°

Ad una prima lettura “veloce” del III° capitolo dell’esortazione apostolica Amoris laetitia di Papa Francesco non è facile capire bene lo spessore e la quantità di concetti che vengono espressi. Sono concetti a prima vista difficili da calare nella realtà familiare e nella vita di tutti i giorni, ma soffermandosi con più attenzione si scopre un mondo nuovo.

Fra i tanti, un concetto, uno sopra tutti, emerge con chiarezza e forza: è il concetto di vocazione al matrimonio. Ma cosa vuol dire avere la vocazione al matrimonio? Che significa?

Proviamo ad interrogarci mentre uno dei figli ci chiama per i compiti, la carne si sta bruciando sul fuoco ed improvvisamente squilla il telefono perché un gestore telefonico ha scoperto di avere un’offerta migliore della nostra e vuole comunicarcelo subito. A fatica ci ritagliamo un po’ di spazio per notare che Papa Francesco ci mostra quello che siamo, noi famiglie, ci spiega quello che neanche noi sappiamo fino in fondo.

Un intero capitolo, bellissimo, per dirci che l’amore tra coniugi è come l’immagine (imperfetta) dell’amore tra Cristo e la sua Chiesa. Un amore che si fa concreto nella vita quotidiana, in mille sfumature delicate e tenere, forti e risolute, pazienti e instancabili. La famiglia come sequela di Cristo.
Il pensiero ci fa tremare un po’, ma andiamo avanti…

Ci chiediamo: ma si può dunque seguire Gesù anche sposandosi? La via di coloro che vanno dietro a Gesù può essere anche quella del matrimonio? Non ci è stato detto che tutti i cristiani, proprio in quanto cristiani, sono chiamati a seguire Gesù? Tutti chiamati!

Ma chiamati quindi a diventare cosa? Preti, suore, consacrati…

Leggendo capiamo che (per fortuna) siamo sì, tutti chiamati alla santità, tutti chiamati a seguire Gesù. Ma che c’è anche una chiamata specifica al matrimonio, così come c’è una chiamata alla vita monastica.

Altra domanda da un milione: tutti comprendiamo che per diventare, che dire, monaco o per entrare nella vita consacrata ci vuole una vocazione particolare. Ma, per sposarsi c’è davvero bisogno di una chiamata particolare?

Crediamo proprio di sì. Non è infatti una cosa ovvia sposarsi, almeno per un cristiano o una cristiana.

Non spaventatevi di quanto stiamo per dire, ci capiremo a fine paragrafo: siamo battezzati nel sangue di Cristo e quindi gli apparteniamo, siamo tutti ed esclusivamente suoi.

E se abbiamo capito quanto ci ha amato e quanto ci ama non possiamo non potergli dire con sincerità: “Ti seguiremo dovunque tu andrai, dovunque tu vorrai, fai della nostra vita quello che vuoi: è tua!”. Solo allora lui potrà farci capire: “Seguimi nella via del matrimonio”. È lui che deve indicarci la via da percorrere per seguirlo.

In un primo momento forse non appare subito chiaro il rapporto tra seguire Gesù e sposare una persona. Nella vocazione di un religioso, di una religiosa, di un sacerdote sembra più evidente la scelta esclusiva di Dio: non si sposano proprio perché riservano il loro essere interamente per Lui. E invece, nonostante l’apparenza, non è meno vero che chi si sposa ama Dio in modo altrettanto deciso. Solo che lo ama nella persona che Dio gli dà come marito o moglie.

Nel matrimonio cristiano lui coglie in lei la presenza di Dio e viceversa, si vive un amore scambievole. Non è solo piacersi, stare bene insieme, essere attratti reciprocamente. È anche tutto questo, perché niente dell’amore umano, compresa la sessualità, viene rinnegato, con il desiderio anzi che cresca con gli anni in profondità e in delicatezza. Ma c’è di più: Noi coniugi cristiani, in quanto tali, siamo resi partecipi dell’Amore di Dio espresso nella Trinità.

La Trinità, che è l’amore profondo (Spirito Santo) che lega il Padre e il Figlio, è l’immagine a cui il matrimonio cristiano tende e dove l’umanità ritrova la sua bellezza originaria.

Giovanni Paolo II parlando ad un gruppo di famiglie aveva detto: “L’umanità, per somigliare a Dio, deve essere come una coppia di due persone che si muovono l’una verso l’altra, due persone che un amore perfetto riunisce in unità. Questo movimento e questo amore le rendono somiglianti a Dio, che è lo stesso amore, l’unità delle tre Persone”.

Il discorso comincia a farsi complicato e ci fermiamo un attimo per capire se nel frattempo qualcosa in casa non sia esploso o se la lavatrice abbia finito il ciclo e si debba stendere i panni.

Appurato che potevamo andare avanti ci siamo resi conto leggendo che ciascuno di noi due rappresenta un dono per l’altro, un dono che Cristo ci ha dato perché come famiglia viviamo quella comunione d’amore originaria per cui siamo stati creati. Infatti citando la Genesi Dio creò l’uomo e la donna a sua immagine e somiglianza, chiamandoli ad essere “due in una sola carne”.

Ma l’idillio degli inizi finisce presto e il primo frutto del peccato è la rottura dei rapporti con Dio e tra l’uomo e la donna. Da allora come famiglie portano in sé i germi dell’egoismo, della violenza, della disunità: Caino uccide il fratello, Giuseppe viene venduto dai fratelli …

Ed ecco l’infedeltà, la violenza, l’adulterio, il divorzio… il matrimonio è inquinato ed anche oggi ne avvertiamo le terribili conseguenze.

Davanti a tanto fallimento Gesù ribadisce con forza: “…ma all’inizio non era così” e ridona al matrimonio tutto il suo splendore, facendolo sacramento di quell’unità che Egli è venuto a portare sulla terra.

Il sacramento del matrimonio è quindi un dono orientato alla santificazione e alla salvezza degli sposi. Il segno sacramentale di un amore che dà se stesso per l’altro, come è avvenuto sulla croce.

Gli sposi sono pertanto il richiamo permanente per la Chiesa di ciò che è accaduto sulla Croce, sono l’uno per l’altra, e per i figli, testimoni della salvezza, di cui il sacramento li rende partecipi.

Risorgono cosi al peccato delle loro fragilità in grazia della resurrezione di Cristo e della redenzione della Chiesa (universale e domestica).

Il Papa sa benissimo quanto siamo fragili e che dobbiamo tornare sempre a iniziare da capo, dalle piccole cose, dalle ferite piccole o grandi che ci abitano, dai propositi che non riusciamo a mantenere, ma vuole anche farci capire come la Chiesa deve e sa essere Madre. Una madre che si china a curare le ferite dei figli più in difficoltà e che non rifiuta mai di accogliere nel suo seno chiunque la chiami in aiuto, una madre accogliente e mai giudicante.

Wow e che altro dobbiamo fare oltre a tutto questo ci chiediamo sudando freddo?

Il papa va avanti imperterrito e ci dice che marito e moglie, proprio perché rivivono l’amore di Dio, sono chiamati anche a trasmettere la vita, partecipando della paternità e maternità di Dio creatore.

Viviamo la comunione, ma la dobbiamo dilatare aprendoci alla vita e facendoci strumento perché “nascano i nuovi cittadini della società umana che col battesimo diventino figli di Dio e perpetuino attraverso i secoli il suo popolo. Ecco perché la famiglia è paragonata ad una “piccola Chiesa”. Anch’essa come la “grande Chiesa” vive questo mistero di unità e comunione.

Vivere da sposi cristiani implica, oggi più che mai, grande coraggio e forza per andare controcorrente rispetto alle sollecitazioni della nostra società che invita all’edonismo, al ripiegamento egoistico, al disimpegno civile, alla palese infedeltà…

Dobbiamo essere coppie di sposi che sappiano dire, con limpidezza e generosità, che amare è attenzione all’altro, dono di sé, sacrificio, accoglienza… L’amore deve resistere in tutte le sue stagioni: nella freschezza del fidanzamento, nella saldezza della maturità, nella serenità della vecchiaia; in tutte le sue condizioni: dobbiamo essere coppie di sposi capaci di donare la vita e di educare alla vita, di assumere i dolori del quotidiano e quelli della malattia, dell’handicap, degli imprevisti che la vita riserba…

Questo è il cammino a cui siamo chiamati, la strada che Gesù ci ha indicato, che non è un giogo pesante ma l’unica via che porta alla vera felicità e realizzazione dell’uomo oggetto dell’amore di Dio.

Domande

La nostra vocazione matrimoniale è per tutta la vita. Lo abbiamo sempre capito? È una cosa che ci spaventa o ci rassicura? Certe volte altre soluzioni potrebbero sembrarci più allettanti o più facili, ma qual è la vera via che ci conduce alla libertà? Dì la tua

Cristo abita nella famiglia. Come si manifesta? Sentiamo la Sua presenza oppure gli impegni, le preoccupazioni quotidiane ci sovrastano senza lasciarci tempo di farlo entrare?

Vivere la morte e la resurrezione di Cristo all’interno della famiglia per te che cosa significa?

 

Lettera di Chiara Lubich, ad un’amica prossima a sposarsi

(Leggono solo le donne) “Ascoltami: non dividere il tuo cuore in terra, non dividere il tuo cuore!

È uno solo l’amore: l’amore per Dio. Ma non fraintendermi, ascolta.

C’è un ideale nella vita che supera tutti: amare. Amare chi? Dio.

Lui abita nel cuore di tutte le creature.

Ma tu, perché quella è la sua volontà, lo devi vedere soprattutto in un cuore: in quello di (nome di lui).

Carissima, (nome di lui) lo devi amare di più di quanto lo ami perché… Dio abita nel suo cuore.

Comprendimi. Per te l’amare Dio si dimostra così: amando (nome di lui) più che puoi.

Per lui rinnega il tuo egoismo, la tua volontà di star rinchiusa in te stessa, i tuoi comodi, tutti i tuoi difetti.

Per lui aumenta la tua pazienza, perfeziona la tua capacità di madre, sappi tacere quando qualcuno sbaglia.

Se tu ti sforzerai di vedere Gesù in lui, allora il tuo amore per lui non avrà fine.

Nemmeno in paradiso, perché in lui ami Dio. Solo così crescerà grande il tuo amore…”

Padre nostro…